Clubhouse nuovo social

Tutti pazzi per Clubhouse, il nuovo social!

Da settimane ormai non si fa altro che parlare del nuovo social che sta spopolando nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti, e che pian piano è arrivato in tutta Europa. Un social nuovo, che porta una ventata di freschezza nei social che ormai tutti già conosciamo, portando una rivoluzione, seppur piccola, dopo l’ultima avuta con TikTok.

Clubhouse è un app che è disponibile, per ora, solo su dispositivi iOS. Un’app che sta rivoluzionando il mondo dei social, che dopo lo scossone di TikTok aveva bisogno di un’altra rivoluzione. Ad oggi, questo nuovo social media ha 2 milioni di utenti, una buona base da cui partire, considerando che è in veloce espansione. 

Come funziona Clubhouse?

Clubhouse è un social media basato sugli audio, sulla voce che mira a unire persone con le stesse passioni. Come? Esistono e si possono creare delle stanze con gruppi di persone da tutto il mondo, ed è sempre in live, le voci non sono in differita, e non è possibile fare screen recording, spingendo quindi le persone a stare sempre sull’app per non perdersi nulla di ciò che dicono gli altri.

I gruppi sono controllati dai moderatori, che creano il gruppo, e decidono chi può parlare o eventualmente mutare. Le persone nel gruppo alzano una mano virtuale e aspettano il loro turno per parlare. 

Nei gruppi troviamo quindi tre categorie di persone, i moderatori, gli ascoltatori e gli speaker.

Clubhouse è un app sicura, i messaggi vengono cancellati alla chiusura della stanza ed è impossibile registrarli. L’unica eccezione è il caso in cui siano segnalate delle violazioni, infatti in quel caso la piattaforma trattiene i messaggi per sottoporli a delle analisi più approfondite. 

 

Perché Clubhouse è sulla bocca di tutti?

Esclusività. La risposta alla domanda è l’esclusività, per accedere a Clubhouse c’è bisogno di un invito, di qualcuno già all’interno, oppure si può aspettare una waiting list. Ogni utente può invitare a sua volta due persone.

Inoltre riduce il gap con persone famose ed imprenditori importanti, ad esempio una delle celebrity che sta usando Clubhouse è l’attore e cantante Jared Leto. Tutto ciò rende ancora più esclusivo il social, infatti non è difficile trovarsi nella stessa stanza di una celebrity.

Clubhouse sul mercato

A Maggio dell’anno scorso, con soli 5,10 mila utenti, e ancora in fase di beta privata, prese una valutazione da 100 milioni, la valutazione attuale è di 1 miliardo, con Andreesen Horowitz come fondo di investimento.

Clubhouse, Content Creator e monetizzazione

Clubhouse come altri social in precedenza, si sta muovendo in questa direzione, permettere alle persone più attive, i content creator di monetizzare, così da essere alla pari di Facebook, Instagram, Youtube, TikTok.


Cosa succederà con agli altri social? E come si muoverà il caro Zuckerberg?

Come altre personalità di spicco tra cui anche Elon Musk, anche il buon Mark Zuckerberg si è iscritto all’app, tra l’altro mettendo una foto come profilo abbastanza esilarante per noi addetti ai lavori, una foto che lo ritrae con una sorta di ghigno. Che stia studiando Clubhouse per poi inserirla in Facebook o in Instagram? Come ha già fatto nell’ultimo anno facendo sbarcare i Reels su Instagram per contrastare l’incessante crescita di TikTok.

Diventerà Clubhouse il nuovo social per eccellenza? Staremo a vedere, ma quello di cui siamo certi è che, al momento è il Social più discusso.

“Infine, ricorda che il marketing è come l’amore: dopo la vendita – o il matrimonio – non è finito il tuo operato: c’è bisogno, per l’appunto, che tu mantenga vivo il rapporto con il cliente – ed accesa la scintilla del sentimento con il tuo partner.
Sennò finisce tutto lì… e tuoi davvero che il tuo partner ti molli?”
Continuano su. Il Roma  gli approfondimenti sul mondo del marketing e del digitale ed io continuo ad avere l’onore di potermene occupare. Oggi, infatti, ho scritto di quanto sia importante la fidelizzazione del cliente.
social media napoli

Su Il Roma di oggi, 3 novembre 2020, ho scritto delle differenze tra e-commerce ed attività locali partendo dal presupposto che il commercio elettronico non potrà più essere considerato un nemico, ma uno strumento di supporto (e non solo). Insomma, integrazione, integrazione ed ancora integrazione.

Non a caso un recente sondaggio – sulle abitudini di consumo degli italiani nell’era post Covid – condotto da Izi con Comin & Partners ci rivela che il 59% degli italiani continuerà a ricorrere all’e-commerce anche dopo la fine della pandemia.

Buona lettura

 

Sul Il Roma  di oggi, ho provato a fare luce sul potere dei social applicato al marketing territoriale.

Spero vi piaccia

 

Social Media Marketing, ne ho parlato su il Roma sabato 1 agosto.

Buona lettura!

Qui un mio approfondimento uscito su Cronache di Napoli il 17 luglio 2020 in merito al Divario digitale

 

 

Scarica qui il PDf

 

Una mia intervista rilasciata all’amico e grandissimo professionista Roberto Race per la sua straordinaria rubrica “Innovatori“.

 

“Una stanza senza libri è come un corpo senza anima” è questa citazione di Marco Tullio Cicerone quella preferita da Pasquale Incarnato. Esperto in comunicazione, Incarnato (Napoli 1989), si è sempre dedicato al mondo dell’editoria, al giornalismo, e alla comunicazione in tutte le sue forme. Digital Pr, Blogger, Media Relations e impegnato in attività di Public Affairs, con una laurea in culture digitali e della comunicazione, è Ceo de IlVaporetto,com, portale d’informazione prima, quotidiano poi. Responsabile comunicazione, addetto stampa e social media strategist per imprese ed enti. Certo che la comunicazione sia tutto, ha fatto di essa il proprio pane quotidiano proponendo soluzioni innovative a partire da idee semplici quanto essenziali”(Leggi di più)

Ogni qualvolta si identifica il marketing internazionale come un mostro a tre teste da relegare in un angolo il marketing muore. Il riferimento è agli attori aziendali che sono soliti reputare il marketing internazionale di secondo piano, senza capire che lo stesso non è altro che una – necessaria – espansione di quello nazionale.

Adeguarsi a quanto avviene intorno a noi, oggi, risulta l’aspetto focale per un’azienda, e ne concerne che tralasciare il marketing internazionale porrà dei limiti grossi non troppo lontani nel tempo.

Entriamo nel dettaglio. Il fine del marketing internazionale è lo scambio di merci tra due o più paesi, le cui fondamenta si basano su una dettagliata quanto vitale analisi del mercato su cui si vorrà insistere, per coglierne gli aspetti utili alla appena successiva azione strategica.

Quindi, c’è da considerare:

– Paesi verso i quali indirizzare la propria offerta;
– Domanda nei paesi esteri individuati;
– Merce da offrire per soddisfare i bisogni dei segmenti di domanda individuati;

Analisi del mercato e quindi della domanda estera; valutazione dei rischi e minimizzazione dei fattori oggettivamente pericolosi; pianificazione accordi e trattative commerciali; attenta selezione della rete di distribuzione su parametri economici e logistici; strutturazione campagna pubblicitaria.
Questi alcuni dei punti salienti che ogni addetto al marketing internazionale dovrebbe tener ben presenti prima di sedersi al tavolo con l’amministratore delegato per proporgli di varcare nuovi orizzonti, di conquistare nuovi mercati. Quindi, prima di alzare l’asticella – dato per scontato di averne colto i vantaggi – risulta essenziale sapere quali siano gli aspetti rilevanti di una campagna di marketing indirizzata a mercati decisamente diversi rispetti a quelli ordinari.

L’obiettivo primario del marketing internazionale sta nell’individuazione del nevralgico punto d’incontro tra domanda internazionale o domanda di un singolo mercato estero e l’offerta aziendale. Quindi, capire ed esplorare il mercato estero, adeguarsi allo stesso senza sottovalutare le priorità della domanda rispetto all’offerta.

Altri aspetti da tenere in considerazione se si desidera intraprendere quest’avventura sono quelli legati alla modalità di espansione,
vediamo di seguito:

– Espansione semplice: stessi segmenti di destinazione della domanda interna con gli stessi prodotti;

– Sviluppo del prodotto: stessi segmenti ma prodotti nuovi;

– Sviluppo del mercato: segmenti diversi ma stessi prodotti;

– Diversificazione: Nuovi segmenti e relativi nuovi prodotti.

Insomma, il successo è scalabile, ma senza strategia, studio e lungimiranza ci si allontana poco dalla bottega giù casa.

Un mio contributo per Negative Space

 

Ho sempre pensato che vivere professionalmente questi anni sia straordinario, nonostante in tanti mi daranno del pazzo. Certo, riesco a concepire ciò da un punto di vista diverso, non comune.
Siamo attori protagonisti (e non) di quello che è uno dei più grandi e radicali cambiamenti che hanno investito la comunicazione: abbiamo assistito alla variazione direzionale del messaggio passando da una comunicazione di tipo verticale ed unidirezionale a quella orizzontale e bidirezionale. Non molto tempo fa vi era il mittente, il medium, il messaggio e il destinatario. Senza diritto di replica. Avete mai visto qualcuno urlare contro un manifesto pubblicitario affisso in strada? Io no.
Per esemplificare e schematizzare il processo appena descritto cito il famoso studioso politico Lasswell che, appena dopo la II Guerra Mondiale, un po’ come i teorici della materia del tempo, cercò di analizzare gli effetti dei mezzi di comunicazione di massa sul pubblico e formulo la seguente affermazione:
“Chi? (Mittente)
Dice cosa? (Messaggio)
Attraverso quale canale (Medium)
A chi? (Ricevente)
Con quali conseguenze? (Effetti)?”

Oggi, invece, siamo immersi nel tempo tempo della comunicazione orizzontale: mittente, medium, messaggio, destinatario e di nuovo messaggio, medium e mittente che diviene, a sua volta, destinatario. Strano? Non proprio. Ci sono centinaia di milioni di persone che quotidianamente comunicano tra loro, con l’esigenza naturale di socializzare, e nel farlo rispondono ad un messaggio di una multinazionale, dopo aver condiviso sul social network un loro selfie.
Non è da sottovalutare che questo tipo di variazione comporta anche una certa flessibilità psicologica e culturale da parte dell’utente: infatti la multimedialità, nella fattispecie, stimola processi cerebrali diversi rispetto a quelli tradizionali e, quindi, richiedere una maggior complessità percettiva ma con una soglia di attenzione diversa.

Mi piace definire la comunicazione dei tempi nostri circolare o reticolare: un sistema dove il classico concetto “da uno a molti”, “Da molti a uno” è superato e sfiora il “da tutti a tutti”. Ognuno può essere produttore di sé stesso. Insomma, una sorta di democratizzazione della comunicazione pare aleggiare sulla nostra società, senza però tralasciare un tema a cui tengo tanto, tantissimo: il Digital Divide. Siamo qui a parlare di tutto ciò e voi a leggermi perché viviamo in un paese industrializzato il cui accesso alla rete è più o meno accessibile a tutti. Ci sono fette intere del globo che non hanno la possibilità di utilizzare le nuove (o ormai vecchie) tecnologie e, quindi, di poter vivere questa enorme rivoluzione. Purtroppo.

Vi lascio e ricordate di comunicare. Sempre.

Di seguito una mia intervista rilasciata al quotidiano partenopeo “Qualcosa di Napoli” che potrete leggere anche QUI

 

 

Eccoci Pasquale, ci siamo riusciti. Vogliamo porti un po’ di domande sulla tua attività professionale che ci affascina molto e che sarà, senza dubbio, parte integrante del lavoro di domani.

Parlaci di te, di cosa ti occupi oggi?
Domanda difficile quindi. Avrei bisogno di un editoriale con cadenza fissa per raccontare cosa faccio. Scherzi a parte, in primo luogo ringrazio la redazione di Qualcosa Di Napoli sempre attenta, focalizzata sui temi caldi che attanagliano la nostra città e con sguardo lungimirante sull’intero quadro nazionale. Arrivo al punto: mi occupo di comunicazione per aziende ed enti, di formazione e di strategie digitali. Ad oggi mangio di pane e web, di social media, di marketing e di tantissimo altro. Tutte materie che ho studiato e che da un po’ di anni insegno. Specializzato in sviluppo brand, sotto l’aspetto comunicativo, curo la nascita di un marchio, il lancio e le strategie digitali. Amo le sfide, e soprattutto amo vincerle ecco perché faccio questo lavoro. Quando, invece, ho un po’ di tempo (3 ore a settimana) provo ad andare in bici e a spegnere il cervello.

Cosa ti piace della formazione?
Cosa non piace, forse, sarebbe la domanda corretta. Adoro la formazione in tutte le sue sfaccettature, e parto da lontano, da molto lontano: credo molto nel concetto di innovazione e penso che gli innovatori siano coloro che vedono dello straordinario nell’ordinario. Da un’esperienza riescono a fornire una visione diversa del normale. Sono coloro che si cibano di prospettive e passione. Il formatore dovrebbe, secondo me, essere un innovatore. Bisogna cercare di dare un’alternativa, attraverso le proprie doti, per osservare il mondo con occhi diversi. E sarà il destinatario della lezione e motivare l’essenza di tutto ciò. Se è predisposto all’ascolto e alla crescita. Poi aggiungo un’altra cosa e prometto che sarà l’ultima: continuo a ripetere ai colleghi e soprattutto a me stesso che fare formazione ci ha dato una possibilità, la stessa che dovrebbero avere tutti: aver consapevolezza delle proprie capacità. Vi chiederete cosa significhi tutto ciò. È semplice, tutto sommato: puoi essere un tecnico, un genio, ma se non sai apprezzare te stesso queste qualità non riuscirai mai ad esternarle. Ecco perché penso che il primo fattore focale da insegnare, come provo a fare sin dal mio primo giorno, sia la determinazione ed il prendere coscienza di quanto si sappia già fare e di quel che sarà. Quindi, consapevolezza e dinamicità sono la ricetta vincente per riuscire ad affrontare le nuove sfide che la società contemporanea ci pone dinanzi. Le persone prima, le cose dopo. Il mio mantra.

Progetti in cantiere?
Anche qui ne sono un po’. Ma posso rispondere brevemente focalizzandomi su quello per cui mi sto impegnando di più. Sto per lanciare una scuola di formazione per dare la possibilità a tutti di accedere al mondo del digitale e di poter mettere le basi per un percorso professionale serio e strutturato affinché si sia pronti per i mestieri del domani. O di oggi, ahinoi. Il lancio di tutto ciò è cosa non facile, fatta di mille ostacoli, ma la caparbietà, la forza di volontà e le competenze stanno facendoci superare decine e decine di salite ripide. Una delle più grandi difficoltà è il combattere il profluvio di “ore fuffa” di sedicenti maestri che si trovano bighellonando in rete. Trovo stiano mandando in narcosi un settore su cui c’è ancora tanto da lavorare. Ma riusciremo anche in questo, ovviamente. Rimanete sintonizzati.