Come spesso accade in quello che è il teatro delle parole tanto al kg va in scena l’ennesima polemica che spopola sui social e chiaramente lascia spazio alla possibilità ad ognuno di dire la propria. Proprio come me in questo momento.

 

Soggetto: “Pesca”, l’ultimo spot (lo troverete  QUI) dalla forma di cortometraggio del colosso Esselunga firmato dall’agenzia Small. “Non c’è una spesa che non sia importante” questo il claim. Una ben fatta narrazione che appropriatasi del linguaggio cinematografico mira ad emozionare. E ci riesce, nel bene e nel male.

 

La piccola Emma si perde tra i larghi corridoi dell’Esselunga e nel ritrovare la mamma trova ai piedi dell’alto bancone anche altro: la laboriosità di una bimba che invece dei giochi si fa comprare una pesca, è pensierosa, i suoi occhi dicono tanto, troppo. Guardano quello che ha perso ma basta il calore della casa ed una carezza di sua madre per ritrovare il sorriso che ha lasciato nei ricordi; il citofono irrompe sulla scena, è il papà che è venuta a prenderla per quella è che la sua porzione di tempo, probabilmente 2 fine settimana al mese. Emma emozionata prepara lo zaino, scende e dona al papà quel frutto così tanto attenzionato, “Questa te la manda la mamma”, mente e commuove, fa riflettere e discutere.

Ecco, le polemiche sono dietro l’angolo, ma siamo temprati, non ci meravigliano e forse è giusto così: che noia se tutti avessero la stessa opinione. Non pensate?

 

Lo spot dal forte valore simbolico attrae come un magnete l’ira di chi non perde tempo e gioca a politicizzare la pubblicità, perché, si sa, “la destra al Governo invoca il ritorno alla famiglia tradizionale”; mi sono imbattuto anche in chi pensa, invece, che il mostro travestito da adv sia un tappo alla libertà che evidenza degli stereotipi ormai superati.

 

Mentre i supporter? Per loro i creativi hanno aperto sul mondo spettatore il sipario della modernità attraverso la tenerezza di una bimba.

 

Anche se nelle premesse mi sono dilungato abbastanza dovrete perdonarmi se ora dico la mia. Non che vi importi – anche se forse se siete arrivati fin qui qualcosa pur vorrà dire – ma proverò comunque a spiccicarle due cose in fila.

 

Che cos’è “Pesca”? In primo luogo non è lo spot tradizionale di 30 secondi, dura 2 minuti: ecco perché diventa un corto che troviamo in tv, nelle sale cinematografiche e sui canali digitali, ci mancherebbe. Insomma, non sono proprio 2 gli spiccioli investiti dal colosso della Gdo, non che sia per forza sinonimo di efficacia.

 

Certo, un obiettivo l’ha raggiunto: diventare un trend. Dopo Napolitano la rete parla dello spot, dati alla mano. Quello che volevano? Certo. Chi ha ideato il tutto non ha mai smesso di pensare che lo spot potesse generare polemiche, “rischio calcolato” direbbero gli analisti, rischio cercato direbbe qualcun’altro. In onore del Wildiano “purché se ne parli”, di cui non sono per forza un fervente estimatore. Concetto sempre da contestualizzare e pesare, rischi e benefici.

 

Torniamo a noi: gli occhi della piccola Emma senza dubbio bucano con tenerezza lo schermo. E se lo spot emoziona già è a buon punto. La semplicità e l’ingegno della protagonista mostrano che la quotidianità della spesa può assumere diverse accezioni e sfumature a seconda di chi le guarda e dal suo vissuto. I “geni” del marketing hanno giocato sul potere della storia, sul valore emotivo e simbolico non proprio nascosto in 2 minuti precisi di colori, tempi e musiche indovinate.

 

Esselunga punta ad allontanarsi – anche grazie ad un discreto claim – dal classico concetto di acquisto: allegoricamente trasmette l’idea che nel carrello c’è molto più di un prodotto (di qualità e conveniente) e soprattutto che non ci sia spesa che non sia importante. Promossi nell’idea, senza troppi fronzoli. Reputo che Esselunga abbia sposato (bene) la frontiera del relatable marketing connettendosi al consumatore.

 

Mi piace pensare che si intenda accendere un riflettore sulla modernità, senza aver paura – nonostante possa far male, e gli occhi della bimba lo confermano – di mostrare la famiglia attuale che potrebbe essere mutata insieme ai cambiamenti della società, ovviamente. Insomma, la realtà attraverso gli occhi di Emma, straziante quanto di impatto.

 

Lo spot ha tutta la volontà di osare, e ci riesce in parte. Perché in parte? Perché potremo trovarci dinanzi all’indebolimento del messaggio che ci dicono essere il principale, quello della spesa “importante”. E non mancano elementi iconici (necessari?) propri dell’adv da Gdo.

 

Un occhio attento – il mio, qualora vi fosse sfuggito – è in grado di notare che se definiamo tutto ciò “rivoluzionario”, allora come avremmo dovuto definire lo spot Barilla del maestro Gavino Sanna (il papà del “Dove c´è Barilla c´è casa, per intenderci) del 1986 che mostrava una coppia separata alle prese con il rapporto con la figlia?! Certo, non andò mai in onda quella pubblicità, ma questa è altra storia. Penso sia scontato affermare che parliamo di Barilla, il brand che ha fatto della famiglia il proprio visual hammer  (immagine – e concetto in questo caso – che diventi immediatamente associata al marchio o al prodotto).

 

Chiaramente lo spot mi convince. Certo è che i pochi capelli mi consigliano che sia presto per parlare di risultati. Manca il resto della campagna multicanale, ad ora abbiamo assistito alla punta dell’iceberg che avrà diverse declinazioni che ritrarranno momenti di vita, storie di persone, clienti, che ogni giorno entrano nei supermercati Esselunga. Ma, ad oggi, la prova la trovo superata ed è chiaro che la campagna non piaccia a tutti, ci mancherebbe, soprattutto considerando le varie sensibilità (e bias) umane ed i propri vissuti. Quanti sono i bambini che hanno subito le decisioni (giuste o sbagliate) dei genitori? Quanti genitori hanno sofferto e soffrono per tutto ciò? Tantissimi, è la vita, uno spaccato dell’oggi.

 

Infine, poi davvero vi lascio, è davvero bello e soprattutto interessante vedere addetti ai lavori ed intellettuali di ogni genere (che dal divano, proprio come me, notano dettagli non riconoscibili dal destinatario “comune”) aizzare le masse contro questa “brutta campagna”, ma non disperiamo, con alta probabilità continueranno a comprare broccoli e pesce surgelato alla Esselunga sotto casa.

 

 

 

 

 

Clubhouse nuovo social

Tutti pazzi per Clubhouse, il nuovo social!

Da settimane ormai non si fa altro che parlare del nuovo social che sta spopolando nel mondo, soprattutto negli Stati Uniti, e che pian piano è arrivato in tutta Europa. Un social nuovo, che porta una ventata di freschezza nei social che ormai tutti già conosciamo, portando una rivoluzione, seppur piccola, dopo l’ultima avuta con TikTok.

Clubhouse è un app che è disponibile, per ora, solo su dispositivi iOS. Un’app che sta rivoluzionando il mondo dei social, che dopo lo scossone di TikTok aveva bisogno di un’altra rivoluzione. Ad oggi, questo nuovo social media ha 2 milioni di utenti, una buona base da cui partire, considerando che è in veloce espansione. 

Come funziona Clubhouse?

Clubhouse è un social media basato sugli audio, sulla voce che mira a unire persone con le stesse passioni. Come? Esistono e si possono creare delle stanze con gruppi di persone da tutto il mondo, ed è sempre in live, le voci non sono in differita, e non è possibile fare screen recording, spingendo quindi le persone a stare sempre sull’app per non perdersi nulla di ciò che dicono gli altri.

I gruppi sono controllati dai moderatori, che creano il gruppo, e decidono chi può parlare o eventualmente mutare. Le persone nel gruppo alzano una mano virtuale e aspettano il loro turno per parlare. 

Nei gruppi troviamo quindi tre categorie di persone, i moderatori, gli ascoltatori e gli speaker.

Clubhouse è un app sicura, i messaggi vengono cancellati alla chiusura della stanza ed è impossibile registrarli. L’unica eccezione è il caso in cui siano segnalate delle violazioni, infatti in quel caso la piattaforma trattiene i messaggi per sottoporli a delle analisi più approfondite. 

 

Perché Clubhouse è sulla bocca di tutti?

Esclusività. La risposta alla domanda è l’esclusività, per accedere a Clubhouse c’è bisogno di un invito, di qualcuno già all’interno, oppure si può aspettare una waiting list. Ogni utente può invitare a sua volta due persone.

Inoltre riduce il gap con persone famose ed imprenditori importanti, ad esempio una delle celebrity che sta usando Clubhouse è l’attore e cantante Jared Leto. Tutto ciò rende ancora più esclusivo il social, infatti non è difficile trovarsi nella stessa stanza di una celebrity.

Clubhouse sul mercato

A Maggio dell’anno scorso, con soli 5,10 mila utenti, e ancora in fase di beta privata, prese una valutazione da 100 milioni, la valutazione attuale è di 1 miliardo, con Andreesen Horowitz come fondo di investimento.

Clubhouse, Content Creator e monetizzazione

Clubhouse come altri social in precedenza, si sta muovendo in questa direzione, permettere alle persone più attive, i content creator di monetizzare, così da essere alla pari di Facebook, Instagram, Youtube, TikTok.


Cosa succederà con agli altri social? E come si muoverà il caro Zuckerberg?

Come altre personalità di spicco tra cui anche Elon Musk, anche il buon Mark Zuckerberg si è iscritto all’app, tra l’altro mettendo una foto come profilo abbastanza esilarante per noi addetti ai lavori, una foto che lo ritrae con una sorta di ghigno. Che stia studiando Clubhouse per poi inserirla in Facebook o in Instagram? Come ha già fatto nell’ultimo anno facendo sbarcare i Reels su Instagram per contrastare l’incessante crescita di TikTok.

Diventerà Clubhouse il nuovo social per eccellenza? Staremo a vedere, ma quello di cui siamo certi è che, al momento è il Social più discusso.

“Infine, ricorda che il marketing è come l’amore: dopo la vendita – o il matrimonio – non è finito il tuo operato: c’è bisogno, per l’appunto, che tu mantenga vivo il rapporto con il cliente – ed accesa la scintilla del sentimento con il tuo partner.
Sennò finisce tutto lì… e tuoi davvero che il tuo partner ti molli?”
Continuano su. Il Roma  gli approfondimenti sul mondo del marketing e del digitale ed io continuo ad avere l’onore di potermene occupare. Oggi, infatti, ho scritto di quanto sia importante la fidelizzazione del cliente.
social media napoli

Su Il Roma di oggi, 3 novembre 2020, ho scritto delle differenze tra e-commerce ed attività locali partendo dal presupposto che il commercio elettronico non potrà più essere considerato un nemico, ma uno strumento di supporto (e non solo). Insomma, integrazione, integrazione ed ancora integrazione.

Non a caso un recente sondaggio – sulle abitudini di consumo degli italiani nell’era post Covid – condotto da Izi con Comin & Partners ci rivela che il 59% degli italiani continuerà a ricorrere all’e-commerce anche dopo la fine della pandemia.

Buona lettura

 

Sul Il Roma  di oggi, ho provato a fare luce sul potere dei social applicato al marketing territoriale.

Spero vi piaccia

 

Social Media Marketing, ne ho parlato su il Roma sabato 1 agosto.

Buona lettura!

Qui un mio approfondimento uscito su Cronache di Napoli il 17 luglio 2020 in merito al Divario digitale

 

 

Scarica qui il PDf

 

Una mia intervista rilasciata all’amico e grandissimo professionista Roberto Race per la sua straordinaria rubrica “Innovatori“.

 

“Una stanza senza libri è come un corpo senza anima” è questa citazione di Marco Tullio Cicerone quella preferita da Pasquale Incarnato. Esperto in comunicazione, Incarnato (Napoli 1989), si è sempre dedicato al mondo dell’editoria, al giornalismo, e alla comunicazione in tutte le sue forme. Digital Pr, Blogger, Media Relations e impegnato in attività di Public Affairs, con una laurea in culture digitali e della comunicazione, è Ceo de IlVaporetto,com, portale d’informazione prima, quotidiano poi. Responsabile comunicazione, addetto stampa e social media strategist per imprese ed enti. Certo che la comunicazione sia tutto, ha fatto di essa il proprio pane quotidiano proponendo soluzioni innovative a partire da idee semplici quanto essenziali”(Leggi di più)

Ogni qualvolta si identifica il marketing internazionale come un mostro a tre teste da relegare in un angolo il marketing muore. Il riferimento è agli attori aziendali che sono soliti reputare il marketing internazionale di secondo piano, senza capire che lo stesso non è altro che una – necessaria – espansione di quello nazionale.

Adeguarsi a quanto avviene intorno a noi, oggi, risulta l’aspetto focale per un’azienda, e ne concerne che tralasciare il marketing internazionale porrà dei limiti grossi non troppo lontani nel tempo.

Entriamo nel dettaglio. Il fine del marketing internazionale è lo scambio di merci tra due o più paesi, le cui fondamenta si basano su una dettagliata quanto vitale analisi del mercato su cui si vorrà insistere, per coglierne gli aspetti utili alla appena successiva azione strategica.

Quindi, c’è da considerare:

– Paesi verso i quali indirizzare la propria offerta;
– Domanda nei paesi esteri individuati;
– Merce da offrire per soddisfare i bisogni dei segmenti di domanda individuati;

Analisi del mercato e quindi della domanda estera; valutazione dei rischi e minimizzazione dei fattori oggettivamente pericolosi; pianificazione accordi e trattative commerciali; attenta selezione della rete di distribuzione su parametri economici e logistici; strutturazione campagna pubblicitaria.
Questi alcuni dei punti salienti che ogni addetto al marketing internazionale dovrebbe tener ben presenti prima di sedersi al tavolo con l’amministratore delegato per proporgli di varcare nuovi orizzonti, di conquistare nuovi mercati. Quindi, prima di alzare l’asticella – dato per scontato di averne colto i vantaggi – risulta essenziale sapere quali siano gli aspetti rilevanti di una campagna di marketing indirizzata a mercati decisamente diversi rispetti a quelli ordinari.

L’obiettivo primario del marketing internazionale sta nell’individuazione del nevralgico punto d’incontro tra domanda internazionale o domanda di un singolo mercato estero e l’offerta aziendale. Quindi, capire ed esplorare il mercato estero, adeguarsi allo stesso senza sottovalutare le priorità della domanda rispetto all’offerta.

Altri aspetti da tenere in considerazione se si desidera intraprendere quest’avventura sono quelli legati alla modalità di espansione,
vediamo di seguito:

– Espansione semplice: stessi segmenti di destinazione della domanda interna con gli stessi prodotti;

– Sviluppo del prodotto: stessi segmenti ma prodotti nuovi;

– Sviluppo del mercato: segmenti diversi ma stessi prodotti;

– Diversificazione: Nuovi segmenti e relativi nuovi prodotti.

Insomma, il successo è scalabile, ma senza strategia, studio e lungimiranza ci si allontana poco dalla bottega giù casa.

Un mio contributo per Negative Space

 

Ho sempre pensato che vivere professionalmente questi anni sia straordinario, nonostante in tanti mi daranno del pazzo. Certo, riesco a concepire ciò da un punto di vista diverso, non comune.
Siamo attori protagonisti (e non) di quello che è uno dei più grandi e radicali cambiamenti che hanno investito la comunicazione: abbiamo assistito alla variazione direzionale del messaggio passando da una comunicazione di tipo verticale ed unidirezionale a quella orizzontale e bidirezionale. Non molto tempo fa vi era il mittente, il medium, il messaggio e il destinatario. Senza diritto di replica. Avete mai visto qualcuno urlare contro un manifesto pubblicitario affisso in strada? Io no.
Per esemplificare e schematizzare il processo appena descritto cito il famoso studioso politico Lasswell che, appena dopo la II Guerra Mondiale, un po’ come i teorici della materia del tempo, cercò di analizzare gli effetti dei mezzi di comunicazione di massa sul pubblico e formulo la seguente affermazione:
“Chi? (Mittente)
Dice cosa? (Messaggio)
Attraverso quale canale (Medium)
A chi? (Ricevente)
Con quali conseguenze? (Effetti)?”

Oggi, invece, siamo immersi nel tempo tempo della comunicazione orizzontale: mittente, medium, messaggio, destinatario e di nuovo messaggio, medium e mittente che diviene, a sua volta, destinatario. Strano? Non proprio. Ci sono centinaia di milioni di persone che quotidianamente comunicano tra loro, con l’esigenza naturale di socializzare, e nel farlo rispondono ad un messaggio di una multinazionale, dopo aver condiviso sul social network un loro selfie.
Non è da sottovalutare che questo tipo di variazione comporta anche una certa flessibilità psicologica e culturale da parte dell’utente: infatti la multimedialità, nella fattispecie, stimola processi cerebrali diversi rispetto a quelli tradizionali e, quindi, richiedere una maggior complessità percettiva ma con una soglia di attenzione diversa.

Mi piace definire la comunicazione dei tempi nostri circolare o reticolare: un sistema dove il classico concetto “da uno a molti”, “Da molti a uno” è superato e sfiora il “da tutti a tutti”. Ognuno può essere produttore di sé stesso. Insomma, una sorta di democratizzazione della comunicazione pare aleggiare sulla nostra società, senza però tralasciare un tema a cui tengo tanto, tantissimo: il Digital Divide. Siamo qui a parlare di tutto ciò e voi a leggermi perché viviamo in un paese industrializzato il cui accesso alla rete è più o meno accessibile a tutti. Ci sono fette intere del globo che non hanno la possibilità di utilizzare le nuove (o ormai vecchie) tecnologie e, quindi, di poter vivere questa enorme rivoluzione. Purtroppo.

Vi lascio e ricordate di comunicare. Sempre.